"Chi ha coscienza di sè agisce perchè è.
Chi agisce perchè è agisce per sè.
Chi agisce per sè agisce senza bisogno di ricompensa.
Chi agisce senza bisogno di ricompensa agisce nei migliori dei modi."
(Thomas Casadei della Chiesa 2008)
Durante gli ultimi anni di università per raccimolare qualche soldo diverse sere durante la settimana andavo a lavorare in un centro sportivo nella periferia di Padova. Calcetto, tennis, beach volley.
Una volta terminata l'università mi è stato proposto di prenderlo in gestione. Al tempo mi era sembrata un'ottima idea di investimento: conoscevo la clientela, il lavoro, il flusso economico. Cosí sono andato in banca, mi sono fatto fare un finanziamento e ho comprato l'attività.
L'inizio di un'avventura da sempre la carica. Mille idee e progetti.
Ma più il tempo passava più incominciavo a sentirmi legato. Alla fine un'attività è come una storia d'amore: svanito il primo periodo (lungo o meno) della scoperta e dell'innamoramento bisogna fare i conti con ciò che rimane.
E di quella scelta era rimasto gran poco. La routine infinita di quella esperienza (lavoravo 7 su 7 e 360 su 360) mi stava cambiando dentro. Il luogo, per quanto piacevole, si stava trasformando in una prigione. La crisi si faceva sentire anche in quel settore e tutta la mia creatività dovevo sfruttarla per trovare giornalmente un sistema per riempire i campi da gioco. Alla fine ci riuscivo sempre e l'attività continuava a girare. Ma quando tutti gli atleti se ne ndavano e rimanevo solo a chiudere il locale incominciavo ad avvertire un senso di nausea.
La mia vita era tutta là? Organizzare partite di calcetto, servire birra e pizzette, fare manutenzione ai campi? La sensazione di essere fuori luogo incominciava a farsi sempre più strada. La scelta che avevo fatto era stata una scelta di comodo, non di passione o attitudine. Del calcetto come del tennis e del beach volley..o del bar non me ne era mai importato niente. Le mie inclinazioni in realtà erano ben distanti da quel mondo.
E alla fine ho detto basta.
Ho contattato dei possibili acquirenti e nel giro di pochi mesi ho ceduto il centro sportivo.
Una vera e propria liberazione a cui è seguito un peridodo sabbatico di depurazione mentale. La riflessione maturata dopo questo tipo di esperienza era che l'unico modo per poter creare qualcosa di duraturo nel tempo, era quello di creare un progetto in base ai miei interessi e alle mie capacità.
Capire ciò per cui si è portati non è sempre semplice. C'è bisogno di tempo e di tanta introspezione. C'è bisogno di mettersi in discussione, di negarsi e di puntare non su ciò che gli altri si aspettano da te ma su ciò che ti soddisfa, che ti appaga, che ti stimola.
Io ho ritrovato il filo conduttore che ha percorso tutte le mie fasi di crescita nella creatività. Ma non in quella sterile, che si esprime solo a livello concettuale (banalmente l'idea) ma anche nella sua realizzazione pratica. Ciò che mi ha sempre dato soddisfazione, fin da piccolo, era quello di poter materializzare una idea, di dar luce fisica ad un pensiero. Di creare realmente oggetti partoriti da una mia visione.
Tornato a casa dopo un viaggio attraverso la Thailandia, dove in qualche modo è stata percepita un'altra forma di visione della realtà, e nella totale serenità mentale e fisica della situazione in cui vivevo ho avuto l'idea di trasformare un pallone da calcio in una borsa.
Questa idea, per quanto possa ritenersi banale, per me era oggetto di grossa sfida. Non avevo nessuna competenza in materia di borse. Non avevo mai preso in mano un ago e filo per cucire, non sapevo neanche come funzionassero i rivetti,
Quello che ho sempre avuto è molta manualità e tanta voglia di sfidare le mie capacità.
Presi cosî un vecchio pallone, lo tagliai seguendo le cuciture originali in modo da crearne l'apertura e lo rovesciai in modo che la parte usata ed usurata diventasse il nuovo interno. Andai in merceria, comprai lacci in cuoio, bottoni, rivetti, fibbie, moschettoni, Attaccai un laccetto in cuoio regolabile come traccollina al pallone e cucii a mano un sacchetto porta scarpe di Gucci come sacco interno al pallone.
Guardai il risultato. Era innocente, fragile, grezzo. Ma non riuscivo a staccare gli occhi da quella forma. Ne sono rimasto stregato. La mia idea stava prendendo luce.
Avevo scoperto un nuovo materiale da lavorare.
Era settembre 2014.
Il mio progetto stava nascendo.